
Non solo per la fase metastatica e non operabile, ma anche per quelle più precoci. A due anni di trattamento con nivolumab, è libero da malattia il 63% dei pazienti con un melanoma al III o IV stadio completamente asportato. Ora si attende la rimborsabilità del farmaco
L’IMMUNOTERAPIA ha cambiato la storia del melanoma metastatico e sta cambiando anche quella delle fasi più “precoci” della malattia. Parliamo dei pazienti – oltre mille in Italia – operati per un melanoma che coinvolge i linfonodi (III stadio) o con una o poche metastasi (IV stadio) che però sono state completamente asportate, e che quindi non mostrano più malattia attiva. Per tutti loro l’immunoterapia con nivolumab ha dimostrato di ridurre il rischio di ricaduta o di comparsa di nuove metastasi, tanto che il farmaco è stato approvato in Europa un anno fa come trattamento adiuvante, cioè preventivo. Fino alla fine di giugno gli ospedali hanno potuto ottenere il farmaco per via nominale, facendone richiesta caso per caso, e ora si attende la decisione sulla rimborsabilità da parte dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi.
“Poter trattare i pazienti in questo stadio della malattia aumenta la possibilità di evitare una recidiva o la ricomparsa della malattia e, quindi, potenzialmente di curare il paziente”, spiega Paola Queirolo, Direttore Divisione Melanoma, Sarcoma e Tumori rari all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano: “Anche perché per i pazienti con melanoma al IV stadio completamente resecato, fino ad oggi non vi era alcun trattamento specifico”.
La prima immunoterapia preventiva
L’approvazione della Commissione europea del luglio 2018 si era basata sui risultati dello studio di fase III CheckMate -238, pubblicati su The New England Journal of Medicine. Da allora nivolumab rappresenta la prima terapia immuno-oncologica anti PD-1 a ricevere un’approvazione europea come trattamento adiuvante.
“I risultati dello studio CheckMate -238, che ha coinvolto 906 pazienti con melanoma in stadio IIIB/C o IV ad alto rischio di recidiva dimostrano che il trattamento precoce con nivolumab, dopo la resezione chirurgica completa, determina un significativo miglioramento dei tassi di sopravvivenza libera da recidiva: a 24 mesi il 63% dei pazienti trattati con nivolumab non ha avuto una ricomparsa della malattia”, spiega Michele Del Vecchio, responsabile di Oncologia Medica Melanomi della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano e principal investigator dello studio.
“L’unicità dello studio CheckMate -238 – continua Del Vecchio – deriva da due elementi: è l’unico trial clinico nel setting adiuvante nel quale il farmaco in studio, nivolumab, è stato confrontato non con il placebo ma con una terapia attiva, ipilimumab, che aveva già dimostrato di essere efficace in questi pazienti. La seconda caratteristica è rappresentata dall’inclusione di pazienti con melanoma in stadio IV che erano stati sottoposti a resezione chirurgica delle metastasi. Questi ultimi sono dei pazienti che finora erano in una sorta di ‘limbo’, perché non vi erano prove adeguate sull’efficacia di nessuna terapia dopo la chirurgia, pur essendo individui ad alto rischio di recidiva. Oggi, alla luce dei risultati dello studio, non è più così”.
Un solo anno di trattamento
La durata del trattamento con nivolumab è solo di un anno. “La prospettiva di una ‘fine’ della terapia, di solito non possibile nella malattia metastatica, rappresenta un notevole vantaggio psicologico per pazienti spesso giovani”, aggiunge Queirolo: “Questi farmaci hanno la capacità di sviluppare una memoria nel sistema immunitario che mantiene la capacità di eliminare le cellule tumorali a lungo termine, anche dopo l’interruzione della terapia. Una caratteristica già emersa nella malattia metastatica, in cui, fino a pochi anni fa, non erano disponibili terapie realmente efficaci”.
La prima molecola immuno-oncologica approvata, ipilimumab, ha dimostrato risultati importanti: il 20% delle persone colpite dalla malattia in fase metastatica è vivo a 10 anni dalla diagnosi. Per nivolumab, per il momento, il follow up degli studi arriva a 4 anni con il 46% dei pazienti vivi. “I nuovi farmaci immuno-oncologici, inoltre, si associano ad un ottimo profilo di tollerabilità: meno di 2 pazienti su 10 sviluppano eventi avversi che possono portare all’interruzione della terapia. Inoltre, se identificati in tempo e trattati correttamente, la maggior parte degli effetti collaterali si risolve completamente in poche settimane”.
La scelta del trattamento per il III stadio
In Italia oggisi stima che ci siano 155 mila persone con una diagnosi di melanoma (73.000 uomini e 82.000 donne). “La nuova classificazione American Joint Committee on Cancer (AJCC) individua quattro diversi stadi di melanoma in stadio III (dal IIIA al IIID), che presentano significative differenze per quanto riguarda il decorso clinico, con sopravvivenze a 10 anni che vanno dall’88% (IIIA), al 77% (IIIB), 60% (IIIC), per scendere al 24% nello stadio IIID”, dice Pietro Quaglino, Professore Associato di Dermatologia all’Università di Torino: “La maggior parte dei pazienti con melanoma in stadio III riceve un trattamento chirurgico, per cui è candidabile al trattamento adiuvante, che sarà da valutare in base alla situazione clinica del paziente e stadiazione della malattia. L’opportunità di somministrare l’immunoterapia in una fase precoce, rispetto alla pratica clinica adottata fino allo scorso anno, rende fondamentale la collaborazione fra le diverse figure: il dermatologo, il chirurgo e l’oncologo. In questa interazione multidisciplinare rientra anche l’anatomo-patologo, per verificare l’eventuale presenza di mutazioni genetiche (in particolare Braf) che permettono di indirizzare il paziente anche alla terapia a bersaglio molecolare”.
La ricerca, intanto, continua, con sperimentazioni anche in pazienti con melanoma in II stadio a maggior rischio di recidiva e con le combinazioni di diverse immunoterapie.
FONTE: www.repubblica.it