
L'utilizzo di una combinazione di terapie target porta oltre la metà dei pazienti ad altro rischio di recidiva liberi dalla malattia a 5 anni dalla diagnosi. I risultati presentati ad ASCO
Dabrafenib e trametinib utilizzati in combinazione riducono significativamente il rischio di recidiva dopo la chirurgia nel melanoma con mutazione BRAF. Oltre la metà dei pazienti con queste caratteristiche sono liberi da malattia a 5 anni dalla rimozione del melanoma. I risultati sono stati presentati a Chicago al congresso dell’American Society of Clinical Oncology, il principale appuntamento mondiale dedicato alla lotta al cancro.
Evitare le recidive di melanoma
Il melanoma è uno di quei tumori che ha fatto scuola nell’utilizzo dell’immunoterapia. Se in fase metastatica, prima dell’avvento di questi farmaci, l’aspettativa di vita era di pochi mesi, oggi con l’immunoterapia il 20% è vivo a 10 anni dalla diagnosi. Ci sono però particolari forme di melanoma che, anche se presi in tempo e quindi ancora parzialmente confinati, rischiano di recidivare e disseminare metastasi. E’ questo il caso dei melanomi in stadio III con la mutazione per il gene BRAF. I pazienti con questa diagnosi sono circa il 15% di tutti i nuovi casi di melanoma ed hanno sia un alto rischio di recidiva dopo l’intervento sia una prognosi significativamente peggiore.
Terapie a bersaglio molecolare
Ecco perché da qualche tempo si stanno sperimentando delle terapie adiuvanti per evitare il rischio di recidiva. Negli ultimi anni infatti le uniche possibilità erano rappresentate dall’utilizzo dell’interferone. “Purtroppo l’utilizzo di questa molecola -spiega Mario Mandalà, Responsabile Unità Melanoma dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo- è associata ad una elevata tossicità e a scarsi vantaggi in termini di sopravvivenza globale, complessivamente non superiori al 3%. Negli ultimi 5 anni due strategie sono state sviluppate in fase adiuvante, da una parte gli anticorpi che bloccano i checkpoint inibitori del sistema immuitario e dall’altra la terapia target, quest’ultima specifica nei pazienti con melanoma BRAF mutato.
La metà dei pazienti non ha segni di malattia a 5 anni dalla rimozione del melanoma
Nel caso dei pazienti con melanoma BRAF mutato, tale anomalia fa sì che il gene BRAF produca una proteina alterata, cioè cronicamente attivata, che stimola in maniera continuativa la proliferazione delle cellule tumorali. Da tempo sono stati sviluppati farmaci a bersaglio molecolare specifici contro questa alterazione. Nello studio COMBI-AD presentato ad ASCO, che ha coinvolto 870 pazienti, l’utilizzo della ombinazione debrafenib e trametinib ha ridotto in maniera significativa il rischio di recidiva. A tre anni l’intervallo libero da recidiva era del 59%, a quattro del 54%, a cinque del 52%.
Terapia già disponibile in Italia
“Si sta raggiungendo una sorta di plateau, che fa ben sperare nella possibilità di guarigione per questi pazienti. È importante, quindi, anticipare il trattamento con la terapia mirata dabrafenib + trametinib nei pazienti in stadio III, cioè con coinvolgimento dei linfonodi regionali, che presentano alto rischio di recidiva di malattia, perché con questa strategia terapeutica è possibile ottenere una rilevante riduzione del rischio di recidiva in una significativa percentuale di pazienti, altrimenti destinati ad una ripresa di malattia, molto spesso non guaribile quando è ormai recidivata. Inoltre, il profilo di tollerabilità del trattamento consente di mantenere una buona qualità di vita con una facile aderenza alla cura nella maggior parte dei pazienti, con un vantaggio non indifferente: trattandosi di una terapia orale il trattamento è interamente domiciliare” conclude Mandalà. Combinazione che già oggi, in Italia, è disponibile per questo tipo di pazienti poiché giudicata da AIFA altamente innovativa.
FONTE: Fondazione Veronesi