Napoli capitale dell'immunoterapia per il melanoma - Melanoma Italia Onlus

L’Istituto tumori Pascale di Napoli è una delle tre strutture al mondo che hanno registrato il maggior numero di pazienti trattati con l’immunoterapia. Qui si riuniscono oltre 200 esperti internazionali per discutere del presente e del futuro delle terapie.

Melanoma Bridge, il ponte che parte da Napoli e arriva ovunque. Sul fronte della ricerca e della terapia. E’ il congresso che apre le porte alla speranza e rivela le ultime strategie mirate a combattere (e sempre più spesso a vincere) uno dei tumori più aggressivi. Il melanoma, appunto, la neoplasia che da oggi e fino a sabato mette a confronto oltre 200 specialisti provenienti dai maggiori centri oncologici, italiani e europei. Bridge da Napoli, perché qui c’è l’Istituto tumori Pascale, una delle tre strutture al mondo che hanno registrato il maggior numero di pazienti trattati con l’immunoterapia. Ed è questa l’ultima frontiera, su cui sta più investendo la ricerca.

LA MALATTIA

Insidioso e aggressivo come pochi altri tumori, il melanoma si sviluppa senza particolari spie predittive. L’unico campanello d’allarme arriva in genere da un neo che cambia aspetto. A esserne colpiti più spesso (ma nessuna età può dirsi al sicuro) è la fascia giovanile-adulta, con una diagnosi che arriva in media a 57 anni. Dal punto di vista biologico, come d’altronde rivela il nome, si tratta di un tumore caratterizzato dalla trasformazione dei melanociti. Sono le cellule localizzate nello strato profondo della pelle che producono e contengono la melanina, il pigmento che conferisce il caratteristico colore scuro. Oltre che nella cute, i melanociti sono presenti nello strato medio dell’occhio e dell’orecchio, oltre che – non è da escludere – in qualche altro organo interno. Sul corpo umano, la localizzazione del melanoma dipende dai quattro sottotipi in cui si identifica. Si parte da quello a diffusione superficiale e crescita lenta che in genere si scopre su gambe, schiena e torace. Il melanoma nodulare, dalla crescita più rapida, si localizza, invece e di solito, su torace, schiena, testa o collo, mentre il melanoma “lentigo maligna” che colpisce gli anziani, si manifesta come lentiggine precancerosa di Hutchinson. Infine, è descritto il melanoma lentigginoso-acrale, più raro e che predilige le estremità. Tumore aggressivo che lascia maggiori possibilità di trattamento quanto più precoce è la diagnosi.

LA DIAGNOSI

Gli specialisti hanno messo a punto una formuletta semplice, fatta di quattro caratteristiche indispensabili alla diagnosi. Basta affidarsi all’acronimo ABCDE. La prima lettera, la A si rifà all’asimmetria che si rivela quando una metà del neo sospetto è diversa dall’altra. La B mette sotto esame i bordi: discontinui, frastagliati, indistinti o irregolari. La terza è la C, e indica la variabilità del colore: dal nero più o meno sfumato, al rosso, al rosso-marrone, al grigio o al blu. Poi, con la D, si analizza la dimensione: il sospetto diventa forte quando aumenta e raggiunge in genere un diametro maggiore di 6 millimetri. L’ultima è la E, cioè l’evoluzione che rivela un cambiamento di forma, dimensione o spessore.

I NUMERI

Nel 2018 che sta per finire, le proiezioni rivelano per l’Italia 13700 nuovi casi di melanoma. In poco più di dieci anni l’incidenza è raddoppiata: nel 2007 le nuove diagnosi furono circa 7000. A essere maggiormente penalizzata è la popolazione del nord del Paese rispetto alle regioni meridionali (42 per cento in più tra gli uomini e il 42 tra le donne). Colpa soprattutto di quelli che gli esperti chiamano “fototipi” e che si identificano nei vari tipi di pelle. La più sensibile è la chiara, mentre maggior resistenza la offre la pelle scura che svolge un ruolo protettivo nei confronti delle radiazioni.

I FATTORI DI RISCHIO

Genericamente il sole finisce sul banco degli imputati, spiega il professor Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e direttore Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie innovative del Pascale di Napoli. Ma il vero rischio è rappresentato dalla “scottature”, cioè dalle ustioni dei raggi. Solari e delle lampade. “Le scottature provocano un danno – spiega il docente – su cui intervengono fattori genetici che impediscono la riparazione del danno stesso”. E perché proprio i giovani sono a maggior rischio? “Perché hanno abitudini di vita, come quella di cercare l’abbronzatura ad ogni costo – risponde – esponendosi oltre che ai raggi solari nelle ore peggiori, alle radiazioni delle lampade artificiali. E sono dannosissime, tutte. Poi, entra in ballo anche il fenotipo, quello celtico-normanno del nord per esempio, è più sensibile”.

LE NUOVE TERAPIE IMMUNOLOGICHE

La strategia di ultima generazione si chiama immunoterapia. Si sta rivelando un’arma molto efficace anche a tenere sotto controllo la patologia in fase avanzata. Ed è a questo trattamento che la Fondazione Melanoma ha dedicato Immunotherapy Bridge. “L’immunoterapia serve a potenziare il sistema immunitario. In particolare, contro il melanoma che ha rappresentato il modello ideale per verificarne l’efficacia. Ma sta dando significativi risultati anche in tumori frequenti come quelli del polmone, seno, rene, vescica e colon-retto – sottolinea Ascierto – L’Italia ha contribuito in maniera decisiva alle ricerche che hanno permesso di rendere disponibili le terapie immunoterapiche alle persone colpite da neoplasie in fase molto avanzata. Finora e a partire dal 2008, al Pascale sono stati trattati tremila pazienti con l’immunoterapia. Solo fino a pochi anni fa, non esistevano terapie realmente efficaci nel melanoma metastatico”.
La prima molecola approvata si chiama Ipilimumab. Il successo lo rivelano i numeri: il 20 per cento dei pazienti in fase metastatica è vivo a dieci anni dalla diagnosi. “Proprio Ipilimumab sta evidenziando un importante “effetto memoria”: vuol dire che la sua efficacia si mantiene a lungo termine, anche dopo la fine del trattamento”.

LO STUDIO

È quello di fase III, lo studio su Ipilimumab (CA184-169) che viene presentato al convegno di Napoli. “Sono state coinvolte 727 pazienti con melanoma avanzato, 54 arruolate nel nostro Istituto, – rivela Ascierto – La molecola, approvata negli Usa e in Europa alla dose di 3 milligrammi per Kg, secondo questo studio ha dimostrato che, a 5 anni, il 25 per cento dei pazienti trattati con dosaggio maggiore (10 milligrammi per Kg) è vivo, rispetto al 19 per cento di quelli che ne avevano assunto la dose standard. Da questo dato si evince che aumentando il dosaggio si ottiene un netto miglioramento della sopravvivenza a lungo termine”.

IL FUTURO

L’immunoterapia potrebbe rivelarsi vincente anche come terapia adiuvante del melanoma. Vuol dire che, utilizzandola, dopo l’intervento chirurgico di rimozione della neoplasia, si riuscirebbe a ridurre il rischio di recidiva. La conferma di questa ipotesi, ricorda Ascierto, era arrivata già al congresso dell’American Society of clinical Oncology (ASCO) di Chicago di giugno, quando i risultati dello studio CheckMate -238 dimostrarono che il “trattamento precoce con l’immunoterapia può determinare benefici con un notevole miglioramento dei tassi di sopravvivenza libera da recidiva: questo significa che sempre meno pazienti svilupperanno metastasi. Poi, altre evidenze indicano l’opportunità di anticipare il trattamento con l’immunoterapia prima della chirurgia (neoadiuvante) e di interromperlo una volta raggiunta la risposta completa”.

FONTE: www.repubblica.it